LA CRESCITA ECONOMICA E’ SUFFICIENTE A SCONFIGGERE LA CRISI?



Le economie più deboli potrebbero soccombere e dar vita a vasti flussi migratori L’Europa scopre ogni giorno che la crisi economica non è finita. Anzi. Pare che i dati economici reali siano peggiori di quanto stimati. Una crisi vera, che sta mettendo in grave difficoltà larghi strati della popolazione. Mancanza di lavoro, mancanza di prospettive, incertezza per il futuro sono le angosce di molti, in special modo dei giovani, che non sanno più dove battere la testa per trovare una qualsiasi occupazione, magari sottopagata, ma occupazione. La mancanza di lavoro genera insicurezza di se e innesca spesso pericolose spirali personali e sociali. Il lavoro è una necessità individuale, ma soprattutto un’esigenza sociale inderogabile. Una popolazione che non lavora è incamminata verso un triste destino. Ma quali possono essere le ricette per uscire dalla crisi? I politici, tutti, descrivono l’attuale come la peggior crisi dell’era moderna e rilevano che è la mancanza di crescita che ci sta fermando. Pare che la crescita sia indispensabile per la creazione di nuovi posti di lavoro e per il mantenimento degli attuali. Crescere vuol dire affermarsi, avere migliori prospettive di mercato, poter organizzare le aziende a far fronte agli ordinativi. Sembra un semplice e lineare ragionamento, che non tiene però conto del fatto che il mondo intero è diviso tra coloro che vivono in Paesi ad economia progredita ed altri, la maggior parte, che vivono di un’economia di sopravvivenza, non basata perciò sui consumi. Se i Paesi più progrediti continueranno a crescere sul piano economico è inevitabile che il divario con i Paesi meno sviluppati si amplierà sempre di più. Così noi potremmo viaggiare su automobili sempre più confortevoli e lussuose, mangiare le parti migliori del cibo scartandone la maggior quantità, avere confort domestici e colletivi di ogni natura. La crescita continua ci porterà ad avere collegamenti sempre più veloci, reti di comunicazione estremamente capillari e velocissime, ristoranti e luoghi di divertimento sempre più affollati. E dall’altra parte del mondo? Le risorse diventeranno scarse, anche se la tecnologia, musa ispiratrice del consumismo, renderà più accessibili tutta una serie di servizi. Internet potrà arrivare anche nelle favelas brasiliane o nelle savane africane, le automobili costeranno meno e se le potranno permettere più persone, consumando così il carburante raffinato in occidente. Ma, ad esempio, il pesce pescato negli oceani diminuirà sempre più portando fame in quelle popolazioni che già oggi vedono ridursi progressivamente la quantità di cibo. Ai popoli affamati rimarranno briciole di territorio sul quale coltivare, aree sempre più piccole dove piantare gli alberi da frutto. Ed allora che cosa potrà accadere quando i popoli spinti dalla fame cominceranno a migrare? Già stiamo assistendo quotidianamente alle tragedie del mare nel nostro Mediterraneo, ma il fenomeno sembra essere solo all’inizio. Milioni di persone cercheranno di spostarsi dove c’è il cibo, seguendo quello che avviene in natura per tutti gli animali. I politici dovrebbero riflettere e domandarsi se la crescita economica può essere sufficiente a sconfiggere questa crisi. Una domanda alla quale è, probabilmente, difficile rispondere, ma che dobbiamo porci, tutti. Uscire dalla crisi non basta, dobbiamo creare condizioni più stabili per la sopravvivenza di noi stessi, sopravvivenza che è intimamente legata a quella di tutto il pianeta. Altrimenti saremo tutti sopraffatti e non ci saranno vincitori.






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