EUROPA ED AUTONOMIA DELLE REGIONI ITALIANE

Può coniugarsi l'autonomia locale con una vera politica europea?

Si discute, ormai da tempo, se ridurre o aumentare l’autonomia delle regioni italiane. Un vero e proprio nodo politico, una materia difficile da districare, sulla quale vale la pena fare alcune considerazioni. Ciò che balza immediatamente agli occhi di un osservatore che, ipoteticamente, vedesse per la prima volta la distribuzione territoriale delle nostre regioni, è la grande differenza di ampiezza territoriale e di popolazione che esiste. Ci sono regioni molto vaste e popolose, come ad esempio la Lombardia, ed altre assai più piccole e con un numero di abitanti molto più esiguo. Ragioni storiche, di identità territoriale, di vie di comunicazione hanno portato a suddividere l’intero territorio italiano nelle attuali regioni. Tutto questo aveva un senso anche solo pochi decenni addietro, per consentire una migliore attenzione e sorveglianza del territorio. I mezzi tecnologici attuali, primi tra tutti l’informatica e l’informatizzazione, consentono di gestire ampie zone concentrando le attività e le responsabilità. Il cittadino che si trova a viaggiare percorrendo l’intera penisola attraversa aree geografiche che hanno leggi regionali che male si armonizzano e si uniformano. La recente introduzione, ad esempio, dei farmaci derivati dalla cannabis per la terapia del dolore negli ammalati terminali di cancro ha regolamenti differenti da regione a regione. Così il cittadino di una regione nella quale non è stato approvato l’uso di queste sostanze innovative non può fruire di un prodotto in grado di alleviare le sofferenze, pur essendo cittadino italiano. Una disparità che non può essere accettata in nome dell’autonomia decisionale delle regioni. Così come non sono concepibili le norme regionali che disciplinano la circolazione stradale, intendendo con questo le diverse disposizioni che riguardano l’uso dei pneumatici invernali, il pagamento dei bolli ed altre differenze locali difficili da seguire e da conoscere. L’autonomia delle regioni dovrebbe essere ripensata, rivista ed attualizzata. Stiamo vivendo in modo assolutamente differente rispetto ai nostri padri. In Europa, ed in particolare in Italia, abbiamo vissuto nello stesso paese dove siamo nati, cresciuti, ed abbiamo realizzato una famiglia. Solo gli emigranti che non avevano alcuna possibilità di lavorare nella terra d’origine, hanno dovuto muoversi e cambiare terra. Oggi ci si sposta molto più facilmente per ragioni di studio o di lavoro, anche temporaneamente, tra le varie regioni ed in tutto il continente europeo. Norme e regole devono diventare sempre più unificate, ciò che vale nella regione deve valere in tutta l’Europa, almeno sui temi generali. Così se un farmaco viene giudicato valido per una terapia deve poter essere disponibile in tutto il territorio europeo e non dovrebbero esserci limitazioni locali all’impiego. Diverso è il tema della gestione delle strutture pubbliche. Qui interviene in modo determinante l’amministrazione locale, che per un territorio più o meno grande determina l’opportunità di aprire o chiudere sedi, di dislocare un centro nell’una o nell’altra città. Un ripensamento si impone. E si impone in tempi rapidi. Lo chiedono i cittadini e lo chiede l’Europa che deve diventare sempre più omogenea nella gestione generale. Non possiamo pensare che i campanilismi potranno tornare utili. Nel mondo ormai completamente globalizzato nessuno sarà in grado di fare da solo e di isolarsi, ma tutta l’umanità dovrà combattere per migliorare la propria esistenza sul pianeta. Utopia? Forse, ma questa è l’unica strada per lo sviluppo.






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