UNA CARTOLINA DI SPERANZA



Proprio in questi giorni mi è arrivata una cartolina da parte di un caro amico che avuto una vicenda di lavoro che val la pena di essere raccontata. La crisi economica che continua a soffocare le imprese e, soprattutto, le famiglie non permette vie d’uscita. Chi ci governa continua a sbandierare una ripresa che non arriva, interpretando segnali che sono molto difficili da cogliere, soprattutto per chi deve continuare a fare i conti con la quotidianità. Ebbene, questo amico può essere annoverato tra le “vittime” della recessione che da qualche anno ci soffoca. Dopo l’università e il servizio militare cominciò a lavorare, spostandosi, come molti, in una grande città del nord. Era nato sul Mediterraneo e per anni ne soffrì la mancanza. Mancanza di sole, di colori, di albe e di tramonti, di profumi e di vento compensati però da una discreta carriera in ambito aziendale. Dopo aver lavorato nel settore dell’industria della salute approdò ad un grande gruppo editoriale, assumendo nel tempo responsabilità crescenti. Arrivò ad avere l’ufficio a pochi passi dal corridoio con la moquette dove avevano la scrivania i massimi dirigenti dell’azienda. Respirava aria di potere e quasi era preso da quel delirio di onnipotenza che può colpire giovani maschi adulti, perfettamente sani, che vedono la loro scalata sociale quasi inarrestabile. Ma il destino è misterioso e così, spostandosi da un luogo all’altro della città per le frequenti riunioni ebbe un incidente stradale. Andava sulle due ruote, un motorino di ultima generazione, con ogni tempo. Questo gli permetteva di non perdere ore in automobile o sul taxi per raggiungere le stanze dove parlare con i direttori o con i manager dei singoli settori aziendali. Un giorno quelle due ruote lo tradirono, non per colpa, ma perché una ragazza che usciva con l’automobile da un distributore non lo vide e lo investì. In coma all’ospedale neurologico con ematoma nella scatola cranica. La forte fibra e la volontà di reagire lo aiutarono e riuscì a venirne fuori dopo una lunga convalescenza. Quando ebbe l’incidente stradale la moglie era a letto ingessata da capo a piedi perché solo due mesi prima venne investita e fu salva per miracolo. La convalescenza fu dunque un fatto di famiglia e mentre lentamente si rimettevano cominciarono a porsi domande sulla ragione dell’esistere e sull’opportunità di continuare a vivere in una città del nord privilegiando la carriera alla qualità della vita. Quando il mio amico rientrò al lavoro la situazione era cambiata. Avevano trovato un buco nei conti, una falla che rischiava di far chiudere i battenti al gruppo editoriale causata, probabilmente, da qualche alto dirigente che fece operazioni di cosmetica contabile per dimostrare agli azionisti che meritava i premi in denaro che gli venivano assegnati. Poco importava di tutti i rischi per i dipendenti. Il mio amico si ritrovò ad essere considerato un “esubero”, parola che ancora oggi lo scuote nel profondo. Passò alcuni mesi ad andare in azienda senza sapere che fare. La voglia di tornare sulle rive del Mediterraneo lo spinse a ricercarne la possibilità rimanendo nella stessa azienda. Si liberò così un posto in provincia per svolgere un lavoro completamente differente da quello che aveva fatto fino ad allora. L’azienda sapeva bene che il mio amico avrebbe potuto sporgere una denuncia di infortunio sul lavoro ed accettò così, senza tentennamenti, di trasferirlo, stipulando di fatto un accordo che andava a pennello ad ambo le parti. Così il mio amico si trasferì con la famiglia e lavorò per molti anni con rinnovato entusiasmo. Arrivato all’età di sessant’anni l’azienda ebbe nuovamente necessità di ristrutturarsi e partì dal settore di coloro che lavoravano sul campo. Nel frattempo l’azienda era cresciuta molto, aveva acquisito rami di altre imprese del settore e con i rami i dipendenti, ossia persone che lavorano e traggono dal rapporto con l’azienda il necessario sostentamento per se stessi e per la loro famiglia. L’azienda divenne così leader incontrastato del proprio settore, un vero e proprio gigante in grado di influenzare e di indirizzare l’intero settore. Ma questo non venne fatto. Gli anni passavano, il settore cominciava ad entrare in crisi, ma la dirigenza stava assolutamente ferma, preoccupata soltanto di prendere i premi di fine anno e senza porsi troppe domande su quanto stava accadendo e sul modo di contrastarlo. Vennero fatte scelte sbagliate e alcuni dirigenti vennero presi a rubare. Gli utili stavano però calando e divenne così necessario tagliare il personale, partendo da quello che aveva meno potere contrattuale, ossia gli esterni. Per remunerare meglio gli azionisti si doveva lasciare a casa chi aveva lavorato una vita ed era ormai vicino alla pensione e chi aveva figli da mantenere e nessuna possibile alternativa. Una situazione drammatica per far guadagnare di più chi già divideva utili consistenti, ma si sa, questo è il capitalismo e non guarda in faccia nessuno. Il mio amico non lo credeva possibile, anzi lo riteneva immorale. Mesi di cassa integrazione seguirono quel periodo. Mesi durante i quali il mio amico pensava di rubare quelle poche centinaia di euro di stipendio che la cassa sociale gli passava, dimenticandosi che si trovava in quella situazione per colpa di dirigenti ladri o incapaci e con lo scopo di far guadagnare di più il capitale. Si stava logorando al pensiero che solo qualche anno prima avrebbe maturato il diritto alla pensione e risolto così tutti i problemi. A sessantenni non si ha più una visione ottimistica del futuro, si è inclini al pianto e alla preoccupazione spesso eccessiva e inutile. Il mio amico era dimagrito notevolmente e, contrariamente al suo solito, era diventato pallido con gli occhi profondamente scavati sugli zigomi. Non più gioviale e cordiale con tutti, ma scontroso e facilmente irascibile. Un giorno mi disse che non ce la faceva più e che, con gli ultimi soldi a disposizione, avrebbe preso un biglietto per la Giamaica. Mi parlava dell’isola caraibica come di un luogo fantastico, dove l’immaginazione e la speranza non hanno confini. Partì. Non ho avuto contatti per un lungo periodo e lo pensavo intristito e pentito di avere lasciato la sua casa. La notizia è invece arrivata su una cartolina, scritta in modo fitto da sembrare una lettera. Mi dice che sta bene, lavora molto ed ha idee e prospettive per il futuro. Ha aperto un ristorante di pasta fresca e ha preso a lavorare con sé tre ragazzi del posto, che cantano e ballano mentre lavorano e tengono allegro tutto il gruppo. La moglie è alla cassa e lui cura gli acquisti e i rapporti con la clientela. Vive in pantaloni corti e ciabatte durante tutto l’anno e mi scrive che ognuno dovrebbe riflettere sul vero valore dell’esistenza. E aggiunge:”alla faccia di quelli che per guadagnare di più mi hanno fatto disperare e piangere. Io mangio un piatto di ottima pasta davanti al mare dei Caraibi e quelli rimangano a finire il resto dei loro giorni incartati nelle grisaglie mangiando panini tra una riunione e l’altra. Tanto prima o poi tutti finiamo nello stesso modo, è solo questione di tempo".






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