SONO UOMINI ANCHE COLORO CHE CI CHIEDONO QUALCHE SPICCIOLO

L’irritazione nei loro confronti non garantisce il nostro benessere

Incontrare per strada un giovane extracomunitario che ci chiede qualche spicciolo è diventato ormai una costante. Neppure ci meraviglia, non ci scomponiamo nel negargli qualche centesimo di euro. Il nostro gesto è automatico, un riflesso che ci viene spontaneo. Chi lo fa alzando un dito in segno di dinego, chi scuote la testa, chi alza le spalle, il risultato è sempre lo stesso. Questi ragazzi, arrivati fin qui, nella opulenta Europa da Paesi molto lontani, continuano il loro girovagare nella speranza di arrivare a sera con qualche euro in tasca. Già, la sera, magari quando noi siamo al ristorante, ci godiamo in santa pace la conclusione di una giornata di lavoro con gli amici o, più romanticamente, col partner, e loro arrivano. Qualcuno cerca di vendere le rose, altri accendini o calzioni, altri ancora chiedono semplicemente una moneta. Questi ultimi non hanno neppure della mercanzia da vendere, hanno solo se stessi. E tutti loro sono per noi un fastidio, una vera e propria rottura di scatole che deve essere allontanata al più presto. Magari ci lamentiamo anche con i commensali o col ristoratore del numero troppo elevato di questuanti che ci rovinano le cene. Ma ci siamo mai domandati che cosa hanno mangiato quei giovani che si trascinano da un ristorante all’altro? Che cosa provano ad avere la pancia vuota di fronte ai nostri piatti pieni di succulente golosità? Possono provare rispetto per noi che li allontaniamo indispettiti? Possono essere così convinti che sia giusto rispettare le regole della nostra cosiddetta civiltà? Di fronte alla pancia vuota le regole del vivere civile cambiano, si stravolgono. Chi deve nutrire se stesso o, peggio, i propri figli, è pronto a tutto. È l’istinto potente della sopravvivenza, quello cha consentito all’uomo di affermarsi sugli animali e agli animali di continuare ad esistere. Che, si badi bene, non giustifica alcun gesto illegale da parte di nessuno, ma che deve costringerci a riflettere. Perché sono queste le condizioni nelle quali si trovano molti giovani che hanno affrontato viaggi pericolosi ed estenuanti per arrivare nella nostra Europa e sperare in un futuro. Neppure migliore, ma semplicemente un futuro, che poteva essere loro negato in Patria. Sono orami decenni che conviviamo con questa realtà e, purtroppo, sono decenni che la situazione non muta. A livello personale possiamo, talvolta, provare un sentimento di umana solidarietà, di rabbia impotente o di intenerimento di fronte a situazioni che conosciamo meglio. Ed allora siamo porttai ad allungare qualche spicciolo, nel migliore dei casi qualche biglietto di banca. Inutile per cambiare la situazione. Non abbiamo una ricetta, non siamo in grado di proporre una soluzione vera e definitiva del problema, ma possiamo cercare di riflettere. L’intervento del singolo ha semplicemente la funzione di contribuire a turare una piccola falla, a fare arrivare un uomo al giorno successivo. Traguardo importante, ma non sufficiente. È la collettività che si deve impegnare, creando condizioni di vita accettabili in tutto il pianeta. Il mondo è diventato globale ed anche lo star bene e la possibilità di avere un futuro deve essere globale. Ogni essere umano ha diritto a vivere e i diritti non si dividono a metà. Non possiamo parlare di crescita economica se non facciamo crescere tutti, se non diamo a tutti gli abitanti della terra pari dignità. La dignità non significa opulenza. Si può vivere dignitosamente pur essendo poveri materialmente, ma avendo ben saldi i principi di solidarietà e rispetto che sono carenti alle nostre latitudini. Cara Europa, se non farai crescere almeno i Paesi del Mediterraneo che ti sono vicini, il tuo futuro non sarà roseo. ricordati che la fame fa compiere atti che nessuno vorrebbe.






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