IL SOGNO INFRANTO DI LAVORARE MENO

Una grande speranza delusa dai fatti

Il sogno dell’uomo è sempre stato quello di poter vivere senza lavorare, o meglio, lavorando poco. Il lavoro sì, ma quello necessario a vivere. E il sogno di poter lavorare meno sembrava a portata di mano. Era proprio dietro l’angolo e ormai sembrava realizzato. Partì con la rivoluzione industriale e con le prime macchine che potevano fare lavori pesanti togliendo una grande parte della fatica. I grandi magli, i telai meccanici per realizzare i filati, i trattori nei campi. Innovazioni tecnologiche che aprirono nuove strade e che parevano avere messo il genere umano in condizioni di fare un netto salto di qualità della vita. I prodotti ottenuti con le tecnologie costano meno e ci saranno in abbondanza per tutti. Questa è stata la grande speranza che hanno vissuto le generazioni del secolo scorso. Macchine sempre più sofisticate, sempre più veloci e precise che potessero sostituire quasi completamente il lavoro dell’uomo. Con l’avvento dei computer l’operazione sembrava completata. Le macchine divennero “pensanti”. Potevano correggere addirittura gli errori. In epoche più recenti i calcolatori elettronici hanno fatto il loro ingresso in maniera prepotente anche nel lavoro d’ufficio. Niente più segretarie che battevano a macchina le missive, le facevano rileggere e poi, dopo le opportune correzioni le spedivano attraverso l’ufficio posta. La comunicazione commerciale è cambiata radicalmente e, nel giro di pochi anni, i manager hanno imparato a scrivere senza l’ausilio di nessuno, possono rispondere al telefono senza bisogno di aiuto. Il lavoro della segretaria non esiste praticamente più, almeno per come era concepito solo qualche decennio addietro. Una ulteriore vera rivoluzione industriale che ha portato il cambiamento anche nel lavoro intellettuale, quello basato sull’uso delle parole. Parole che i computer conoscono e che sono in grado di suggerire e di correggere. Lettere, articoli di giornale, relazioni e presentazioni, fascicoli, sono spesso “virtuali”, non vengono neppure stampati e sono in grado di arrivare quasi istantaneamente da una parte all’altra del globo. Il pensiero che viaggia ovunque alla velocità della luce e che si può tradurre in ordinativi, progetti, commenti e quant’altro di positivo e di propositivo. Tutto questo però lascia un pizzico di amaro in bocca, soprattutto a chi, come chi scrive, aveva pensato che si potesse “lavorare meno, lavorare tutti”. Negli anni ottanta del secolo scorso l’idea circolava ancora e, forse, era nel pieno delle potenzialità. Alcune aziende, soprattutto negli Stati Uniti, avevano ridotto l’orario di lavoro, o meglio concentrato le ore in soli quattro giorni lavorativi la settimana. Tre giorni di festa nel fine settimana sembravano alla portata, e si facevano ipotesi di come tutti ne avrebbero beneficiato. Il turismo, ad esempio, avrebbe avuto la possibilità di crescere per l’abbondanza di “tempo ritrovato” che avrebbero avuto i lavoratori. E così sarebbe aumentato il benessere in generale, lo star bene di tutta la popolazione. I fatti hanno dato torto. Ora ci sono intere fabbriche che sfornano prodotti senza bisogno di manodopera umana se non per i controlli e le manutenzioni. I robot lavorano al buio, e si producono risparmi anche nell’uso dell’elettricità. Quindi l’innovazione e la tecnologia porta meno fatica per l’uomo, ma anche meno impiego e meno lavoro. E tutto questo dove conduce? È vero che i prodotti costano meno, ma anche chi può comprarli si riduce. Lo slogano del meno lavoro è mutato in “lavorare in meno” e, forse, anche con meno salario. Una triste prospettiva, un sogno infranto e una speranza delusa. Forse non è questa la strada. E forse ancora non siamo in grado di individuarla. L’uomo ha necessità di lavorare, per mantenere se stesso e la propria famiglia, per realizzare i propri sogni ed aprire prospettive al futuro dei propri figli. Il progresso non sarà tale fino a che non sarà in grado di tenere pienamente di conto della figura umana e non la metterà al centro di tutti i ragionamenti e le discussioni sullo sviluppo. Altrimenti non ci sarà futuro.






Nome:
E-mail:
Testo: